"Vedi qualche cognome che sai". "Metti il fratello... vedi se ci sta". "Fammi vedere se è lui...". "Vedi le persone che hanno scritto mi piace". Scorrere di profilo in profilo l'elenco su Facebook, per i clan non è solo un fatto di relazioni. E' un campo aperto per individuare i nemici da colpire nel mondo reale. È così che, a febbraio scorso, Carlo Lo Russo, il boss di Miano, è intercettato mentre con la moglie Anna e un giovane affiliato trascorre le serate al computer sfogliando le pagine del social network alla ricerca di volti da associare ai nomi finiti nella lista nera di coloro da eliminare. "Questo è quel Francesco?", "Mi pare di sì.... questo è Raffaele... Ultimo... è uno della banda loro", "i Barbudos... guarda qua che c'è scritto: tutti insieme siamo grandi e comandiamo...". Partendo da un cognome che al rione Sanità vuol dire criminalità di ultima generazione, Genidoni, e ci si imbatte nei profili di presunti appartenenti al gruppo dei «barbudos» della Sanità, incluso quel Raffaele Cepparulo che sui social si presentava come Ultimo e che il 7 giugno scorso è stato ucciso in un agguato al lotto 0 a Ponticelli.
Il boss sa che lo scontro con le nuove leve della camorra si consuma sulle strade virtuali così come su quelle reali. Così, la notte del 19 febbraio scuote Lo Russo per l'ennesimo raid armato ad opera di un gruppo di emergenti che tentano l'ascesa nel rione Don Guanella e di cui fa parte anche Walter Mallo, arrestato di recente. "Hanno sparato un'altra volta, tre volte in una giornata... Ora gli faccio vedere io il terrore». Carlo Lo Russo è infuriato perché quei giovani si sono spinti fino al cuore del suo feudo e le continue incursioni armate spaventano i suoi pusher rovinando le vendite di droga sulle piazze gestite dal clan. «Succede la fine del mondo, si rasa al suolo il Don Guanella e non mangiamo più nessuno...". Riorganizzare il clan dei Capitoni per Lo Russo vuol dire anche scontrarsi con un'altra generazione di camorristi, al Don Guanella come al rione Sanità. "La malavita è un mestiere, se non lo sai fare cambia mestiere...", dice preoccupato dei criminali improvvisati. "Pioverà sangue", dice al nipote lamentandosi della situazione del clan. A luglio 2015 Carlo Lo Russo torna libero dopo molti anni trascorsi in carcere e riprende le redini dell'organizzazione. Sfruttando i nove permessi premio dell'ultimo anno è già riuscito a parlare con nipoti e affiliati, rinverdire i rapporti con i suoi uomini e con esponenti di altre famiglie malavitose, occuparsi delle mesate e nominare nuovi luogotenenti. "Quando pioverà sangue vorrà dire che sono uscito". E quando trapela la notizia dell'imminente fine pena notificato al boss dal Tribunale di Napoli e i figli con il resto della famiglia e qualche fedelissimo decidono di festeggiare. Invitano anche i neomelodici Franco Ricciardi e Mauro Nardi (non coinvolti nella vicenda giudiziaria) che dedicano una canzone a Lo Russo il quale è al telefono, ascolta, apprezza e, a viva voce, saluta e ringrazia tutti. E Mario Lo Russo, fratello di Carlo, ex boss e dal 21 marzo collaboratore di giustizia: "Tornato libero mi sono dedicato agli ospedali, cioè tutto quello che gira intorno agli ospedali". Estorsioni, assunzioni, appalti. "Il policlinico era nostro - dice illustrando le spartizioni tra clan - il Cardarelli, il Monaldi e il Pascale di Cimmino e Caiazzo del Vomero".