Ciro Cuozzo e Corrado Amitrano
Accecati dalla sete di vendetta, uccisero per errore un innocente dopo l’omicidio del fratello di un elemento di spicco del clan Falanga, attivo nel comune vesuviano di Torre del Greco (Napoli).
In un’operazione congiunta – secondo quanto appreso da ReteNews24 -, i carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata e i poliziotti di Torre del Greco hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del tribunale di Napoli, su richiesta della Dda, nei confronti di Sebastiano Tutti, 49enne già detenuto presso il carcere di Parma, e di Antonio Scognamiglio (nella foto in alto), 52 anni, recentemente scarcerato e sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residente, entrambi residenti a Torre del Greco e appartenenti al clan Falanga, ritenuti responsabili di concorso in omicidio premeditato, porto e detenzione illegale di armi, con l’aggravante delle finalità mafiose.
IL KILLER SI PENTE – L’indagine ha consentito di far luce sull’omicidio di Vincenzo Cardone, ucciso per errore a 23 anni il 26 settembre del 1998 a Torre del Greco. Omicidio voluto da Tutti ed eseguito da Scognamiglio insieme ad Antonio Mennella, colui che esplose tre colpi d’arma da fuoco da distanza ravvicinata e che, preso dal rimorso, nel 2015 ha iniziato a collaborare con la giustizia e ricostruendo il movente, la dinamica e il contesto criminale nel quale maturò l’omicidio.

LA VENDETTA – La vittima infatti, del tutto estranea a logiche criminali, perse la vita perché il giorno dell’omicidio venne scambiato per un soggetto appartenente al clan avversario dei Chierchia, ritenuto coinvolto nel cruento omicidio di Santo Tutti, fratello di Sebastiano, avvenuto appena una settimana prima.
Le scarne informazioni raccolte in pochi giorni dai killer dei Falanga – scrive la Procura -, accecati dalla sete di vendetta per l’omicidio di un loro fedelissimo (Santo Tutti), li indussero a compiere il raid di morte basandosi su approssimative notizie circa il ciclomotore utilizzato dall’obiettivo da colpire e il luogo abitualmente frequentato da quest’ultimo. Dopo l’omicidio, Antonio Scognamiglio, all’epoca latitante, ritornò nel suo covo sulle pinete del Vesuvio dove apprese dagli altri affiliati che facevano da staffetta dell’errore di persona commesso.